Può capitare che a seguito di un sinistro stradale, la parte lesa abbia diritto contestualmente ad un risarcimento del danno fisico (secondo quanto previsto dalla regola generale dell’articolo 2043 del codice civile, che obbliga chi cagiona un danno a risarcire) e ad un indennizzo, in quanto a suo tempo, la parte lesa, aveva anche stipulato una polizza assicurativa privata che determina in caso di infortunio il diritto di ottenere un indennizzo, in ossequio ai massimali sottoscritti.
In altri termini, alla luce del recente orientamento giurisprudenziale, è lecito o meno il cosiddetto cumulo assicurativo?
Quando si verifica un sinistro per il quale sussiste la responsabilità di un terzo, al danneggiato che si era assicurato per tale eventualità, competono due distinti diritti di credito che, pur avendo fonte e titolo diversi, tendono ad un medesimo fine: il risarcimento del danno provocato dal sinistro all’assicurato-danneggiato.
Il doppio risarcimento è possibile?
Per rispondere a questa domanda, è necessario ripercorrere sicuramente la giurisprudenza, la quale per molto tempo è sempre stata favorevole al cumulo sostenendo, quindi, che il doppio risarcimento è possibile.
Sembra ovvio infatti il diritto di ricevere il ristoro dei due crediti in quanto il risarcimento dei danni e l’indennizzo hanno origini diverse: chi subisce un incidente ha quindi, diritto ad ottenere sia il risarcimento che l’indennizzo qualora abbia sottoscritto una seconda polizza privata.
Mentre il risarcimento ha una natura extracontrattuale sancito dall’art. 2043 c.c., del quale risponde la compagnia assicurativa in nome e per conto del responsabile civile, l’indennizzo trae origine da un rapporto di natura contrattuale il cui credito sarebbe vantato nei confronti della compagnia stessa. In altre parole, il risarcimento dei danni è dovuto dalla compagnia assicurativa del responsabile civile del danno, mentre l’indennizzo è liquidato dalla compagnia con la quale il danneggiato sottoscrive una polizza.
L’assicurato infatti, paga un premio annuale a volte anche molto elevato, in base ai massimali prescelti, affinché la stessa compagnia si impegni a riconoscere una determinata somma al verificarsi dell’evento lesivo.
Alla luce pertanto della diversa natura dei due crediti e di tale orientamento, è opportuno ritenere possibile la cumulabilità di risarcimento danni e indennizzo.
Cosa dice in merito la Cassazione?
Con le recenti sentenze n. 13233 del 2014 e la n. 7349 del 2015 tuttavia, la Corte di Cassazione ha fornito una propria linea interpretativa sostenendo che tale cumulo non sia possibile. Le ragioni?
In ossequio a tale orientamento, il riconoscimento di un indennizzo presuppone l’esistenza di un danno, ma se c’è già stato il risarcimento, il danno non esiste più ed allora il credito indennitario si estingue, e viceversa.
A seguito di tale orientamento, molte compagnie assicurative, in sede di liquidazione danni tendono a negare il cumulo. Ma siamo davvero sicuri che la negazione del doppio risarcimento sia davvero definitiva? Sotto un primo assorbente profilo, il danneggiato dovrebbe vagliare attentamente il contratto sottoscritto in illo tempore e chiedersi se sia stato correttamente informato al momento della sottoscrizione del contratto in merito a tale impossibilità di cumulare risarcimento e indennizzo.
Rivalersi nei confronti dell’assicuratore che, mancando di specificare tale vincolo, ha comunque definito la vendita di una polizza infortuni è un diritto che, attraverso l’ausilio di un patrocinatore esperto, può essere tutelato.
Cosa dicono le Sezioni Unite?
Anche la Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n. 12565 depositata il 22 maggio 2018, con riguardo alla questione del cumulo tra indennizzo assicurativo e risarcimento, affermava:
[…] nella liquidazione del danno da illecito aquiliano la somma eventualmente già versata alla vittima dall’assicuratore deve essere detratta dall’ammontare complessivo del danno in quanto, se fosse consentito al danneggiato di cumulare indennizzo e risarcimento, questi realizzerebbe un ingiusto arricchimento;
che il pagamento del premio assicurativo non può bastare per trasformare il sinistro in una occasione di lucro;
che l’ammissibilità del cumulo di indennizzo e risarcimento neppure può darsi nei casi, come quello di specie, in cui l’assicuratore del danneggiato non abbia manifestato la volontà di surrogarsi a quest’ultimo nei confronti del responsabile, ex art. 1916 c.c.: e ciò sul rilievo che la surrogazione dell’assicuratore non interferisce in alcun modo con il problema dell’esistenza del danno, essendo del tutto irrilevante che sia stato esercitato o meno tale diritto, giacché non può mai essere risarcito un danno non più esistente per essere stato indennizzato, almeno fino all’ammontare dell’indennizzo assicurativo.
In sostanza, con tale sentenza, la Corte di Cassazione afferma che vi è una pericolosa possibilità in cui il cumulo del risarcimento possa costituire un cosiddetto “indebito arricchimento”, ovvero un’occasione di lucro immeritata. Nello specifico, quindi, torniamo alla domanda più importante di tutte:
Se sottoscrivo una polizza infortuni privata e vengo risarcito dalla compagnia del responsabile civile, perché non dovrei essere risarcito anche dalla compagnia con la quale ho sottoscritto la mia polizza?
Ecco quindi che si conforma una “modalità” più o meno chiara per poter verificare tale diritto:
Il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall’ammontare del danno risarcibile l’importo dell’indennità assicurativa derivante da assicurazione contro i danni che il danneggiato – assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto.
Semplificando, permane al danneggiato il diritto di ricevere il ristoro da entrambe le compagnie a patto che, dal totale del risarcimento ottenuto, sia sottratto l’importo dell’indennità assicurativa contro i danni già riscossi. Il che ci porta ad una interpretazione del danno e del ristoro dovuto.
Si tratterà di stabilire se tale somma di denaro venga erogata dall’assicuratore a titolo di ristoro di un pregiudizio patrimoniale (anche presunto) o non patrimoniale, ed anche in tal caso dovrà valere la regola generale per cui se la diaria è totalmente sganciata dal reddito della vittima, deve ritenersi erogata a titolo di indennizzo di un danno non patrimoniale, e segnatamente del danno biologico temporaneo.
Di fatto, oggi molti liquidatori e organi giudicanti si stanno uniformando a tale orientamento, con molte discussioni in punto di interpretatio.
Non resta pertanto, che attendere un’interpretazione ad hoc che possa alleggerire questo scenario.